C’è vita dopo il disastro

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Ero solo un bambino di 11 anni quando, nel 1986, sentii parlare per la prima volta del disastro di Chernobyl alla televisione.

Non capivo appieno cosa stava succedendo, ma potevo sentire il peso dell'evento nelle voci ansiose dei giornalisti e dagli occhi dei miei genitori concentrati sugli schermi.

Non avevo mai sentito parlare di radiazioni nucleari prima di quel momento e la parola "nucleare" in generale suonava come qualcosa di molto lontano ed incomprensibile. Ricordo il senso di confusione e di timore che provavo mentre cercavo di afferrare il significato di quel che sentivo e delle immagini che sembravano provenire da un altro mondo, un mondo di rovine e desolazione.

Oggi, a distanza di 40 anni, mi è capitato di leggere un articolo del 2009 su Wired che parlava di alcune piantine di soia che circondano la centrale di Chernobyl.

La soia, dunque, sopravvive alla contaminazione nucleare.

La notizia, sebbene ormai datata, mi ha colpito profondamente. Pensare che in quell’inferno radioattivo possa nascere la vita è davvero impressionante.

Come è ovvio, queste piante non sono commestibili, ma gli scienziati slovacchi che fanno esperimenti di biotecnologia nell’area devastata stanno cercando di comprendere come sfruttare questa capacità di resistere a situazioni climatiche estreme.

I semi recuperati dai ricercatori della Academy of Sciences in un giardino di un villaggio che si trova a cinque chilometri dai ruderi della centrale e il cui nome era Chistogalovka, raccontano della vita che nasce dalla morte.

Alcuni trattamenti su queste piante confrontanti con quelli condotti sulle stesse piante prelevate a centinaia di chilometri dalla zona, hanno evidenziato come le piante contaminate si modifichino per difendere se stesse. Regolando i livelli di decine di proteine, infatti, riescono a proteggersi da malattie, metalli pesanti e sale.

Il confronto dei livelli di proteine tra le piante vicino all’area del disastro radioattivo e quelle più lontane, fa comprendere come le prime si siano adattare all’ambiente.

Seppur velenose tanto per l’uomo quanto per qualsiasi animale, queste piante rappresentano un’evoluzione incredibilmente sorprendente che potrebbe portare all’apertura di nuove frontiere. Chissà, volendo volare con la fantasia, che questo non possa condurci a comprendere come coltivare piante su altri pianeti in cupole con bassi quantitativi di ossigeno e terreni alieni e….

Mah… si, sto virando sulla fantascienza e quindi mi fermo qui ed attendo le vostre considerazioni!

separatoreImmagine di copertina utilizzabile gratuitamente con licenza Pixabay
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