LA VITA DI UN CAMERAMAN - CAPITOLO 4 - LE MANIFESTAZIONI E LA GUERRA DI STRADA
Chiunque sa cos’è una manifestazione, ma ben pochi sanno cosa può esserci dietro e dentro di
ognuna di queste.
Ci sono manifestazioni pacifiche, manifestazioni pacifiche che poi sfociano nella guerra
urbana e manifestazioni dove l’intento è distruggere e sabotare.
Bisogna fare molta attenzione quando si viene mandati a fare delle riprese ad un evento
pubblico, non si può mai sapere come andrà a finire, perché spesso il vero intento di una parte
dei manifestanti non è esprimere il proprio disappunto, bensì che faccia notizia quello che
succede nel mentre
Per citarne una delle più grandi alle quali partecipai a Roma ricordo benissimo il giorno che il
governo diede la fiducia all’attuale (passato) presidente del consiglio, un personaggio molto
noto a tutti, del quale non serve nemmeno citare il nome, al massimo ricordare che ha diverse accuse pendenti sul capo e diversi conflitti di interesse.
Quel giorno iniziò come tanti altri, non c’era nell’aria chissà che clima di rivolta ma forse fu
proprio questa esagerata calma a lanciare il primo allarme.
Vennero da tutta Italia per manifestare, un tale schieramento di cittadini scontenti, arrabbiati,
stanchi non lo avevo mai visto in vita mia e quasi di pari passo seguivano le forze dell’ordine,
con “truppe” e mezzi da far invidia ad un esercito.
Noi tutti cameraman ovviamente ci trovavamo tra i due fuochi, ma con la possibilità di
muoverci liberamente in entrambi i lati del conflitto, sperando di essere considerati sopra le
parti o comunque da quelle parti.
Nelle prime ore nonostante i toni accesi della gente che manifestava tutto scorreva tranquillo,
finché dalle retrovie emersero quelli che cominciarono a chiamare in quel periodo “black
Block” e con tutta la loro violenza cominciarono a lanciare bombe carta e molotov contro le
forze armate ed i palazzi istituzionali.
Da li a poco la situazione cambiò radicalmente, quella che prima sembrava una folla scontenta
diventò un esercito agguerrito senza scrupoli che non guardava in faccia nessuno, molti dei
miei colleghi purtroppo vennero anche presi di mira perché visti come il nemico, la
televisione.
Imparai che non sempre avere uno stemma che ti contraddistingue è un bene e che la tua
incolumità vale più di mille telecamere costose.
Quel giorno vidi colleghi piangere, quel giorno vidi colleghi sanguinare e crollare nel panico
dell’inaspettata violenza urbana, che ci assaliva ed ignorava come semplici lavoratori per
considerarci anzi lo strumento e causa di tutti i problemi del paese.
Si udivano esplosioni da ogni vicolo del centro storico della città, urla di paura e di rabbia
mischiate tra loro echeggiavano tra banchi di fumo come nebbia che entrambi gli
schieramenti generavano.
Anche io nei primi momenti rimasi nascosto in un angolo, tutto troppo inaspettato e nuovo,
non sapevo davvero come comportarmi e solo con l’adrenalina riuscii ad essere in grado di
muovermi e fare il mio lavoro.
Dalla parte opposta del centro arrivavano voci di gruppi armati violenti in grado di fare
breccia nei blocchi istituiti e ricordo bene che ci arrivarono voci sul tenerci alla lontana da
Piazza del Popolo, dove, altri manifestanti saliti fin sopra la terrazza del Pincio erano intenti a
lanciare san pietrini fin sotto la piazza, senza curarsi dei bersagli.
Diversi fotografi rimasero feriti, un ragazzo addirittura perse un occhio in quella piazza, non
c’erano più regole, soltanto violenza e le forze dell’ordine inizialmente schierate e ben
organizzate cominciarono a sfaldarsi mentre alcuni di questi imponenti mezzi semi militari
erano avvolti dalle fiamme.
Non sarà la guerra dei paesi meno fortunati che vediamo in televisione ma vi assicuro
c’eravamo davvero molto vicini, eravamo prossimi al punto di non ritorno dove tutto si
mischia e non è più chiaro di chi sia la ragione e chi stia “vincendo”.
Quando ti trovi nel cuore di situazioni del genere ti rendi conto di certi particolari impossibili
da notare in una ripresa video o nel racconto di un giornalista, sei spettatore di strani scenari
dove vittima e carnefice sembravano coadiuvarsi.
Non posso e non voglio affermare nulla che possa mettere a rischio la mia incolumità, ma
alcune scene che ho avuto modo di osservare mi han fatto capire quanto in realtà sia tutto
inutile e programmato.
Noi cameraman come sempre ignorati da tutti avevamo la possibilità di osservare senza
l’ausilio della telecamera, quanto un piccolo numero di persone potesse cambiare le sorti di
un evento che comprendeva così tanta gente.
Per non parlare poi dei giornalisti, sempre pronti in prima linea a mandare al macello
l’operatore di turno, restandosene tranquillamente nelle retrovie ad aspettare che il servizio
si scrivesse quasi da solo con quel popò di immagini.
Era una routine sentirsi dire dal giornalista di turno “vai li e riprendi”, come fossimo un drone
senza pilota sacrificabile, ed il brutto purtroppo era anche come diversi miei colleghi stessero
a questi ordini precipitandosi in situazioni estremamente pericolose, sempre per quei due
soldi e senza nessuna assicurazione.
La cosa più triste di tutto questo, era purtroppo l’inutilità di queste azioni, i politici
caldamente e comodamente seduti nelle loro poltrone dentro i grandi antichi palazzi,
continuavano come nulla fosse il loro lavoro.
Non è mai successo che qualcuno di questi spinto da qualche sentimento reagisse in qualche
modo nel bene o nel male, c’erano solo le folle inferocite e le guardie addestrate alla meno
peggio a contenere questo genere di situazioni.
Con eventi di questo genere ho perso la speranza nelle manifestazioni in Italia, se nemmeno
qualcosa di così violento era in grado di modificare in qualsiasi modo l’andamento della
macchina politica, come potevano i movimenti pacifici essere più utili di questo?
Sono passati da molti anni i tempi nei quali manifestare aveva un senso, quando lottare aveva
uno scopo ben delineato che quasi come un credo religioso portava gran parte del paese a dire
no a determinate decisioni politiche.
Non voglio con questo spingere la popolazione a smettere di manifestare, vorrei anzi far
capire come i tempi siano cambiati ed il potere della massa non sia scomparso ma
semplicemente delocalizzato, spostato in altri contesti più eterei come la rete.
Non si è persa la potenza del popolo, si sono persi di vista i reali obiettivi, complice
sicuramente internet che, sfruttato nel modo sbagliato demonizza ed offusca la ragione.
In altri stati le manifestazioni portano davvero a qualcosa, nel nostro paese invece sembrano
quasi un hobby, una scelta diversa e contraria all’apatia che però scaraventa il singolo
cittadino nel limbo del malessere collettivo.
Ho visto tantissime persone urlare con tutto il fiato in corpo i propri demoni, le proprie agonie
ed il proprio dissenso, dentro megafoni che se non fosse stato per noi cameraman nessuno
oltre i presenti avrebbe udito.
Ma poi in finale chi è lo spettatore di questi eventi se non lo stesso cittadino infelice?
Tutto questo mi riconduce sempre allo stesso punto, dove la libertà di espressione diventa
uno strumento per rabbonire, per dare un senso di scelta a chi non ne ha, rimanendo solo e
semplicemente una speranza e non una certezza.
Di tutto questo non fanno parte le manifestazioni pacifiche, quelle che vogliono
semplicemente comunicare al “mondo” un pensiero, come l’orgoglio omosessuale, reso negli
ultimi anni una banderuola ubriaca che più che ribadire dei concetti una volta forti, li
ridicolizza allontanando il dubbioso piuttosto che istruirlo ed incuriosirlo.
Dietro ad ognuno di questi movimenti ci siamo comunque noi cameraman a registrare
qualcosa che altrimenti rimarrebbe eco del presente di pochi.
Sono convinto che se non esistessero le telecamere queste situazioni assumerebbero un
valore differente, se non ci fossero obbiettivi e microfoni a registrare tutto, la maggior parte
delle persone avrebbe un atteggiamento diverso e molto probabilmente queste folle
sarebbero composte da persone più trasparenti e determinate.
Ma invece nel bene e nel male esistiamo, giriamo come ladri tra gli eventi cercando di rubare
la bellezza del momento, schiavi di una passione che in pochi hanno, ma che stuprano
riducendola ad un dovere per campare.
Nella vita bisogna fare sempre quel che si desidera, non bisogna limitarsi ad andare avanti
fino alla fine, bisogna goderselo questo tragitto, una volta eravamo degli artisti che il mondo
riconosceva come tali, ormai siamo ridotti ad essere classificati come “operaio di terzo di
livello”, perché nemmeno per la legge esistiamo in questo paese.
La nostra qualifica non ha nome, noi possiamo definirci tali solo a parole, perché lo stato non
ha mai nemmeno pensato di dare un volto, uno spazio a questo mestiere, rendendo ancora più
paradossale la nostra esistenza.
Allego un piccolo video girato all'epoca con il telefonino:
( Fotografie scattate sempre all'epoca con il telefono )
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